Il mito dell’alchimia seguito da L’alchimia asiatica

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Le rivalutazioni hanno qualche un paradossale effetto oscurante. Nel momento in cui l’alchimia è diventata oggetto di studio, è stata recintata nel limbo inoffensivo degli antesignani: una sorta di prechimica considerata esclusivamente per gli aspetti anticipatori dello spirito d’osservazione, della razionalità induttiva e della capacità manipolatoria poi incarnati totalmente dalla scienza matura e odierna. La prospettiva di Mircea Eliade si colloca all’opposto .

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Il grande storico delle religioni nega come illegittima il rapporto diretto, della moderna chimica dall’ammasso di operazioni e dottrine esoteriche che nel tempo si sono tramandate in segreto e che sono rimaste sigillate e nascoste per i non iniziati. Secondo lui, se da un lato la modernità ha messo a frutto certa empiria tanto cara agli alchimisti e ha bloccato il millenario sogno alchemico. dell’uomo-creatore secolarizzandolo nell’idea prometeica di un’evoluzione  senza termine, dall’altro “solo chi ha smarrito il senso dell’alchimia può ricondurla e ricollegarla alla chimica”. Al recupero di questo “senso”, di un’antica verità oscurata, dedica pagine memorabili. Si immerge nell’alchimia asiatica – cinese e indiana in particolare – che ha esaltato soprattutto le tecniche spirituali, ovvero le pratiche magico-ascetiche di matrice tantrica, necessarie ad assimilare le virtù perfezionatrici.

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